A me piace quel fiore
*Poesia nella quale il poeta vanta le virtù delle cose immarcescibili su quelle periture, tirandole a sé per farne esercito di oscenità
Tu hai un fiore
a me piace quel fiore
no, non è una metafora per dire fica
le metafore hanno rotto il cazzo
è proprio un fiore
coi petali,
il profumo no, perché a occhio mi sembra finto
di plastica, di seta, non lo so
a me piace quel fiore
non perché sia bello di per sé
è un fiore, cazzo, non la cappella sistina
o il lago di como
mi piace perché ce l’hai in testa
e ti fa diventare la testa una specie di composizione
un centrotavola,
mi piace per quello
ci passerei del tempo in un tavolo con un centrotavola così
appoggiandoci i gomiti e ticchettando con le dita sui bordi
poi sotto al tavolo
dondolerei con le gambe
nel segreto del sotto del tavolo
senza che sopra, all’altezza del centrotavola, ci si accorga di nulla
e magari
mentre sopra sarei tutto preciso e composto, a parlare di cose asessuate
sotto sarei un mulinello di gambe e oscenità
e il tuo bel fiore, là sopra, saprebbe,
saprebbe tutto, cazzo
ma non direbbe nulla
fermo, come un centro tavola
bello, come un fiore infrangibile
farebbe finta di niente, per non mischiare le nostre cose col mondo ignaro
complice e figlio di puttana
quanto nemmeno un lago di como,
o un fiore normale che appassisce
o una stupida cappella sistina.
2 Commenti
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pheegata.
poesia che puzza.